PENSIERO E PAROLA...

Attraverso questo articolo che ho trovato, voglio ribadire qualche concetto che ormai dovremmo conoscere, ma che è sempre utile ricordare...e sottolineare...

“Non vi sono mai due persone che non si capiscono; vi sono solo due persone che non hanno discusso” . Proverbio africano.

"Quando una persona parla rivela la propria padronanza nell’articolazione dei suoni più o meno complessi ma anche, e soprattutto, la capacità di formulare pensieri e opinioni circa ciò che la circonda o ciò che vive in prima persona in quanto essere capace di provare sensazioni, sentimenti ed emozioni.
Da questo facilmente può derivarne la convinzione che la parola è garanzia di pensiero ed insieme sua prima ed unica espressione; l’espressione vocale viene così a coincidere con ciò che viene espresso attraverso le parole, cosicché una difficoltà nel linguaggio (relativa, ad esempio, alla corretta articolazione delle parole) rivela, secondo tale logica, un ritardo cognitivo.
I Sordi, che affidano alle mani e agli occhi, più che alla bocca ed agli orecchi, il compito di veicolare messaggi, sono da sempre vittima di questo (fra i tanti) pregiudizio, il quale si manifesta già nelle modalità di educazione del bambino sordo; la scuola, infatti, così come emerso da un’indagine sulla storia personale riabilitativa dell’alunno sordo “globalmente non conosce la peculiarità dell’handicap uditivo che deriva da un deficit sensoriale e che non comporta a priori un ritardo cognitivo; (…) questo porta gli operatori scolastici ad accomunare handicap uditivo e handicap precognitivo e a considerare il bambino sordo come un bambino che inevitabilmente presenta turbe comportamentali”.
Il linguaggio è strumento privilegiato del pensiero, ma il pensiero senza linguaggio è possibile, cosicché, partire dall’assunto che linguaggio e pensiero sono interdipendenti e che i sordi prelinguistici, ritenuti a torto “privi di linguaggio”, sono di conseguenza portatori di un deficit cognitivo che ne limita l’acquisizione delle capacità di ragionare, di concettualizzare e di astrarre, comporta la convinzione errata che la mancata o inadeguata acquisizione di una lingua verbale implichi la “privazione del linguaggio”.
Seppure la competenza nella lingua parlata e scritta abbia effetti positivi sullo sviluppo del pensiero, l’abilità linguistica non produce, di per sé, alcun incremento delle capacità cognitive.
Esiste una relazione necessaria fra pensiero e linguaggio; non sarebbe infatti immaginabile un linguaggio senza pensiero che lo preceda, dal momento che un fenomeno e il suo significato precedono, nel tempo, i simboli che lo rappresentano. Il pensiero, pertanto, ha bisogno di rappresentazione e, quindi, di simboli, ma non necessariamente del sistema di simboli e di regole nella relazione costituita dal linguaggio verbale.
Dal momento in cui lo sviluppo del pensiero non è strettamente connesso alla presenza del linguaggio verbale, deve comunque essere ribadito che esso necessita di un “linguaggio”, che viene avviato da un dialogo e da una comunicazione; comunicazione che nei sordi assume le vesti del linguaggio del corpo e della mimica, e che si concretizza nella Lingua dei Segni Italiana."

Rap visivo,quando il segno grida

La musica è fatta di suoni? Si. Solo di suoni? Chiaramente no. E cosa c’è di più? C’è tanto di più.
Innanzitutto c’è vita, perché è impensabile avere musica senza vita e , a mio avviso, anche il contrario. La musica è una traccia della vita, come lo è l’arte in generale e come lo sono molte altre cose o attività. La filosofia del linguaggio ci insegna che c’è una strettissima connessione fra biologia e significato: dove c’è vita c’è segno, l’uomo è immerso nel linguaggio e la significazione lo rende una persona. Anche l’arte si muove fra i significati: ci gioca, li intreccia, li porta con sé e la musica, specie quando prevede un testo scritto o recitato, tesse anch’essa dei sensi, mediante l’armonizzazione di trame strumentali e vocali nel tempo, o meglio, a tempo. Come sappiamo, nulla sfugge al tempo, figuriamoci la musica che addirittura lo scandisce : ci sono un ritmo, una cadenza , una dinamica, degli accenti. Tutto questo sta, diciamo così, all’interno di una logica del sonoro.
VIS MUSICAE sta trattando molti argomenti interessanti che lasciano spazio ad innumerevoli riflessioni e nel mio caso, mixando Rap e lingua dei segni, ne è scaturito un interessante quesito : può esistere un Rap visivo? Io credo di si. Ma può avvenire un passaggio dal piano dei suoni a quello delle immagini? Beh, una volta Keith Richards (chitarrista dei Rolling Stones) definì i musicisti come dei pittori che dipingono sulla tela del silenzio e questo mi apre non poco la fantasia. Ma come si “suona” la musica visiva? E perché ho parlato specificamente di Rap visivo? La musica visiva esiste già e si continua a sperimentarla, però, tra i vari generi musicali, la mia scelta è caduta proprio sul Rap alla luce della sua struttura, della sua essenza, che poggia su due elementi imprescindibili : Il testo e il ritmo. Non c’è Rap senza parola, ma questa deve essere proiettata sullo sfondo di un accompagnamento ritmico, in cui il tempo viene scandito generalmente in modo regolare e con poche variazioni dall’inizio alla fine di un brano. Ma quando un batterista suona, il ritmo lo percepiamo solo acusticamente? Se lo osserviamo, oltre ad ascoltarlo, direi di no. Il suo gesto porta ugualmente il tempo. Qui la tela non è il silenzio, è lo spazio. Basterebbe un movimento coordinato e regolare di braccia, di gambe o di corpo, capace magari di esprimere anche una certa intensità desiderata, per ottenere il nostro “ritmo visivo”. Il “vocalist” chiaramente userebbe la lingua dei segni per esprimere i contenuti delle sue liriche, per “cantare” i suoi testi, ma chiaramente andando a tempo, seguendo il ritmo dettato dal “batterista gestuale”, creando così una “linea melodica visiva” della canzone. Il tutto potrebbe poi diventare ancora più ricco e complesso con l’aggiunta di “strumenti musicali visivi”, cioè persone che armonizzino in funzione del ritmo visivo le loro “trame gestuali”, diverse da strumento a strumento, con variazioni regolari, capaci di marcare ulteriormente i passaggi da strofa a ritornello. ( Chiaramente questo è il succo dell’idea, perché il tema necessità di un’analisi più accurata)
Credo che i ragazzi non udenti potrebbero trovare in questo “Rap visivo” la loro sacrosanta dimensione musicale, non solo per le ragioni tecniche e strutturali da me analizzate, ma anche per motivi socio-culturali: il Rap nasceva dalla condivisione di situazioni, problematiche, emozioni da parte di gente appartenente ad uno stesso status, una grande comunità che continuava a raccontare le sue storie in musica, in linea con la tradizione Jazz, Blues e Soul.
Questo genere musicale potrebbe quindi divenire ancor più dirompente, indossando oltre alle “vesti sonore” anche quelle meramente visive, regalando ad un gran numero di giovani la possibilità di condividere con enorme vitalità il loro grido. Perché il “Rap visivo” sarebbe certamente un grido e non un sordo lamento
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