Pubblicazioni di Tommaso Russo

Pubblicazioni di Tommaso RUSSO
(dal 2007 Tommaso RUSSO CARDONA)

Roma, 26 Ottobre 1970 – 13 Settembre 2007

Settembre 1996 – Ottobre 1999 dottorato di ricerca in Filosofia del linguaggio (Università di Palermo, della Calabria e di Roma 1)

Novembre 2000 – Ottobre 2002 professore a contratto di Sociolinguistica, Università di Bologna

Dicembre 2000 – Dicembre 2002 borsa post-dottorato, Università della Calabria

Febbraio 2003 – Febbraio 2005 assegno di ricerca, Università della Calabria

Novembre 2005 – Settembre 2007 ricercatore universitario di ruolo di Filosofia del Linguaggio, Università della Calabria

1995

01) Tommaso RUSSO, Nomi Propri e individuazione. Peirce, Wittgenstein, Lévi-Strauss e alcune
teorie linguistiche contemporanee. Tesi di laurea in Filosofia del Linguaggio, presso l’Università di Roma “La Sapienza”, 21 aprile 1995, relatore Tullio DE MAURO, correlatore Massimo PRAMPOLINI, voto 110/110 e lode.

1997

02) Anna Maria PERUZZI, Paolo ROSSINI, Tommaso RUSSO e Virginia VOLTERRA, “I nomi propri nella LIS, ovvero i segni nome”. In: Maria Cristina CASELLI e Serena CORAZZA (a cura di), LIS: Studi esperienze e ricerche sulla Lingua dei Segni in Italia (Atti del I Convegno nazionale sulla LIS, Trieste 13-15 ottobre 1995). Tirrenia (PI): Edizioni del Cerro, 1997, ISBN 88-8216-009-2, pp. 260-265.

03) Tommaso RUSSO, “Segni nome e identità culturale nella comunità sorda in Italia”.
In: Amir ZUCCALÀ (a cura di), Cultura del gesto e cultura della parola. Viaggio antropologico nel mondo dei sordi (Atti del Convegno, Università di Roma 15-16 aprile 1996). Roma: Meltemi (Gli argonauti), 1997, ISBN 88-86479-33-6, pp. 69-83.

04) Tommaso RUSSO, “Iconicità e metafora nella LIS”. In: Filosofia del Linguaggio. Teoria e Storia [II] (Preprints del Convegno, 2-3 ottobre 1997). Rende (CS): Dipartimento di Filosofia, Università della Calabria, pp. 136-141.

05) Tommaso RUSSO, Testi per la trasmissione e il sito MediaMente, 1997-1999
www.mediamente.rai.it/home/tv2rete/mm9798/tematich/
www.mediamente.rai.it/home/tv2rete/mm9899/tematich/

1998

06) Tommaso RUSSO & Elena PIZZUTO, “Iconicity and metaphors in Italian Sign Language poetry: the functional shift from phonological to morphological values of sign parameters elements”. Paper presented at the 2nd Intersign ESF Workshop (Leiden December 1998: Phonology). Abstract online at: www.sign-lang.uni-hamburg.de/ BibWeb/LiDat.acgi?ID=49431

1999

07) Elena PIZZUTO, Barbara ARDITO, Daniela FABBRETTI, Mari Luz PEREA COSTA, Paola PIETRANDREA, Paolo ROSSINI & Tommaso RUSSO, “Italian Sign Language (LIS): text corpora and notation systems”. Paper presented at the 3rd Intersign ESF Workshop (Siena Pontignano 12-15 march 1999: Morphosyntax: text corpora and tagging). Abstract online at: www.sign-lang.uni-hamburg.de/Intersign/Workshop3/Pizutto.html

2000

08) Tommaso RUSSO, Immagini e metafore nelle lingue parlate e segnate. Modelli semiotici e applicazioni alla LIS (Lingua Italiana dei Segni), tesi di Dottorato di ricerca in Filosofia del Linguaggio: Teoria e storia (Università di Palermo, della Calabria, di Roma “La Sapienza”), XI ciclo (1996-1999; depositata nel dicembre 1999, discussione sostenuta il 10 febbraio 2000). Direttore di tesi: Antonino PENNISI, Lettore: Elena PIZZUTO, Coordinatore del dottorato: Franco LO PIPARO [cf. 27].

09) Tommaso RUSSO, “Senso e coscienza dei sensi. Alcune riflessioni sulle Lingue dei Segni”. «Ou. Riflessioni e provocazioni», IX (2000, n. 1) (= Sensi del senso, a cura di Federica VERCILLO. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane), pp. 105-110.

10) Anna Maria PERUZZI, Paolo ROSSINI, Tommaso RUSSO e Virginia VOLTERRA, “Segni nome ed identità personale nella LIS”. In: Caterina BAGNARA, Giampaolo CHIAPPINI, Maria Pia CONTE e Michela OTT (a cura di), Viaggio nella Città Invisibile (Atti del II Convegno nazionale sulla LIS, Genova 25-27 settembre 1998). Tirrenia (PI): Edizioni del Cerro, 2000, ISBN 88-8216-088-2, pp. 488-494.
Rosaria GIURANNA e Giuseppe GIURANNA, Sette poesie in Lingua dei Segni Italiana (LIS).
CD-ROM + libretto, prototipo, preedizione Roma: Istituto di Psicologia – CNR,
2000 [cf.19-20]
Il libretto di accompagnamento contiene:

11) Elena PIZZUTO e Tommaso RUSSO, “Presentazione”.
12) Tommaso RUSSO, “Sintesi delle poesie”.
13) Tommaso RUSSO, “The crosslinguistic study of poetical texts in signed and vocal languages: productivity, redundancy and form-function relations in a LIS (Italian Sign Language) poem”. Paper presented at the 7th International Conference on Theoretical Issues in Sign Language Research (TISLP 7, Amsterdam July 23rd-27th 2000). Abstract online at:
www.sign-lang.uni-hamburg.de/BibWeb/LiDat.acgi?ID=52873

2001

14) Tommaso RUSSO, Rosaria GIURANNA & Elena PIZZUTO, “Italian Sign Language (LIS) poetry: iconic properties and structural regularities”. «Sign Language Studies», 2.1 (Fall 2001, Special Issue), Print ISSN: 0302-1475, E-ISSN: 1533-6263, Gallaudet University Press, pp. 84 112.
http://muse.jhu.edu/journals/sign_language_studies/v002/2.1russo.html o .pdf
with an animated clip from the poem "The Clock" http://gupress.gallaudet.edu/1.avi

14 bis) Una versione preliminare (14 marzo 2000) è online a:
www.sign-lang.uni-hamburg.de/intersign/Workshop2/Russo_Pizzuto/Russo_Pizzuto.html

15) Tommaso RUSSO, “Sordità e cieco-sordità: teorie e stato dell’arte”. In: Antonino PENNISI e Rosalia CAVALIERI (a cura di), Patologie del linguaggio e scienze cognitive. Bologna: Il Mulino (Percorsi), dicembre 2001, ISBN 88-15-08457-6, 9788815084576, pp. 51-99.

16) Tommaso RUSSO e Elena PIZZUTO, “Musica visiva in Lingua Italiana dei Segni: invito alla scoperta di un universo poetico sconosciuto”. «Crossover Festival Magazine» (a cura di Carlo Rea), n. 1, Luglio 2001 (Civitella del Tronto, TE), p. 28. 2002

17) Roberto CONTESSI, Marco MAZZEO e Tommaso RUSSO (a cura di), Linguaggio e percezione Le basi sensoriali della comunicazione linguistica (Atti del Convegno Università di Roma “La Sapienza” 15-16 febbraio 2002). Roma: Carocci (Biblioteca di testi e studi/ Linguistica 203), ottobre 2002, ISBN 88-430-2431-0, 9788843024315, 144 pp.

18) Tommaso RUSSO, “Antinorma poetica, ritmo e metafora: tra lingue dei segni e lingue vocali”. In: CONTESSI, MAZZEO e RUSSO (a cura di), Linguaggio e percezione, Roma 2002 [17], pp. 88-98.

Rosaria GIURANNA e Giuseppe GIURANNA, Sette poesie in lingua dei segni italiana (LIS).
CD-ROM + libretto 16 pagg., Tirrenia (PI). Edizioni del Cerro, 2002 (e 2003) 2a edizione, ISBN 88-8216-137-4 [cf. 11-12]. Il libretto di accompagnamento contiene:19) Elena PIZZUTO e Tommaso RUSSO, “Presentazione”.

20) Tommaso RUSSO, “Sintesi delle poesie”.

21) Tommaso RUSSO, “Sistemi antroponimici e identità personale: appunti sulla semantica dei nomi propri di persona”. «Rivista Italiana di Onomastica» (RIOn), VIII/1 (2002), ISSN 1124-8890, pp. 29-57.

22) Tommaso RUSSO, “Nomi Propri” [Recensione di: Rita Caprini, Nomi propri, Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2001]. «Rivista Italiana di Onomastica» (RIOn), VIII/1
(2002), pp. 183-187.

23) Tommaso RUSSO, “La specie simbolica” [Recensione di: Terrence W. Deacon, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, Roma: Giovanni Fioritti Editore, 2001]. «Annali dell’Istituto Superiore di Sanità» (AISS), 38/1 (2002), ISSN 0021- 2571, pp. 97-100. http://www.iss.it/binary/publ/publi/381rece.1108638531.pdf

2003

24) Tommaso RUSSO, “Metafore come ipoicone nelle lingue dei segni e nelle lingue vocali”. In: Aureliano PACCIOLLA e Natalino NATOLI (a cura di), Metafora e psicologia. Roma: Laurus Robuffo, 2003, ISBN 88-8087-348-2, 9788880873488, pp. 391-433.

25) Tommaso RUSSO, “Metafore e comprensione tra segni, gesti e parole”. In: PACCIOLLA e NATOLI (a cura di), Metafora e psicologia, Roma 2003 [come 24], pp. 435-467.

26) Tommaso RUSSO, “Sensi individuali e significati condivisi: patologie sensoriali, gioco simbolico e discorso autofasico” [Seminario tenuto all’Università della Calabria, 5 aprile 2000]. «Bollettino filosofico» (Univ. della Calabria), n. 18 (2002) [ma gennaio 2003] (= Cronache dottorali, a cura di Daniele Gambarara), ISSN 1593-7178, pp. 290-313.

2004

27) Tommaso RUSSO, La mappa poggiata sull’isola. Iconicità e metafora nelle lingue dei segni e nelle lingue vocali. Rende (CS): Centro Editoriale e Librario, Università della Calabria (CELUC), Collana “Filosofia del Linguaggio: Teoria e Storia”, settembre 2004, ISBN 88-7458-017-7, 350 pagine [cf. 08].

28) Tommaso RUSSO, “Iconicity and Productivity in Sign Language Discourse: an analysis of three LIS discourse registers”. «Sign Language Studies», 4.2 (Winter 2004), pp. 164-197.

29) Tommaso RUSSO, “Come è fatta una lingua dei segni”. In: Stefano GENSINI (a cura di), Manuale di semiotica. Roma: Carocci (Università/Semiotica e comunicazione 562), 1a ediz. Marzo 2004, 3a Ristampa 2007, ISBN 88-430-2922-3, 9788843029228, pp. 359-382.

2005

30) Tommaso RUSSO, “Metafore come ipoicone. La dimensione iconica delle metafore nelle lingue vocali e nelle lingue dei segni”. «Versus: quaderni di studi semiotici», n. 97 (2005) ISSN 0393-8255, pp. 151-177.

31) Tommaso RUSSO & Virginia VOLTERRA, «Comment on “Children Creating Core Properties of Language: Evidence from an Emerging Sign Language in Nicaragua»”. «Science» 309, 56b. (2005 1 July).
http://www.sciencemag.org/cgi/reprint/309/5731/56b.pdf
Cf. Ann SENGHAS, Asli ÖZYÜREK, and Sotaro KITA, Response to Comment on “Children Creating Core Properties of Language: Evidence from an Emerging Sign Language in Nicaragua”, «Science» 309 (5731), 56c.

32) Tommaso RUSSO e Tiziana ZALLA, “Patologie dello sviluppo cognitivo e comunicativo”.
In: Francesco FERRETTI e Daniele GAMBARARA (a cura di), Comunicazione e scienza cognitiva. Roma-Bari: Laterza (Biblioteca di Cultura Moderna, 1180), marzo 2005, ISBN 88-420-7588-4, 9788842075882, pp. 153-190.

33) Tommaso RUSSO, “Stereotipia e sintassi substandard nella scrittura degli adolescenti italiani: un confronto tra le strategie testuali e sintattiche di sordi ed udenti romani”.
In: Giuseppe ARDRIZZO e Daniele GAMBARARA (a cura di), La comunicazione giovane (Atti del convegno Majise, Univ. della Calabria, 26 gennaio 2001). Soveria Mannelli (CZ): Rubettino, aprile 2005, ISBN 88-498-1245-0, 9788849812459, pp. 321-343.

34) Tommaso RUSSO, “A Crosslinguistic, Cross-cultural Analisys of Metaphors in Two Italian Sign Language (LIS) Registers”. «Sign Language Studies» 5: 3 (Spring 2005, Special Issue: Metaphor in Signed Languages), pp. 333-359.

35) Tommaso RUSSO, “Un lessico di frequenza della LIS”. In: Tullio DE MAURO e Isabella CHIARI (a cura di), Parole e numeri. Analisi quantitative dei fatti di lingua. Roma: Aracne, marzo-aprile 2005, ISBN 88-548-0040-6, 9788854800403, pp. 277-290.

36) Elena PIZZUTO, Paolo ROSSINI, Tommaso RUSSO e Erin WILKINSON, “Formazione di parole visivo-gestuali e classi grammaticali nella Lingua dei Segni Italiana (LIS): dati disponibili e questioni aperte”. In: Maria GROSSMANN e Anna M. THORNTON (a cura di), La formazione delle parole. (Atti del XXXVII Congresso internaz. di studi della Società di Linguistica Italiana – SLI, L'Aquila 25-27 settembre 2003). Roma: Bulzoni (Pubblicazioni della SLI 48) dicembre 2005, ISBN 88-7870-093-2, pp. 443-463.

37) Tommaso RUSSO, “Language and Hegemony in Gramsci” [Recensione di: Peter Ives, Language and Hegemony in Gramsci, London: Pluto Press, 2004]. «International Review of Sociology», 15, 2, July, 2005, pp. 397-401

38) Tommaso RUSSO, “Recensione di: Tullio De Mauro, traduzione, introduzione e note a F. De Saussure, Scritti inediti di linguistica generale, Roma-Bari: Laterza, 2005”. «Bollettino di Italianistica», IV, 2005, ISSN 0168-7298, pp. 278-284. 2006

39) Barbara FIORE e Tommaso RUSSO, “Linguaggio rituale e divinazione”. «Forme di Vita» 5/2006 (= Il rito tra natura e cultura), Atti del convegno Salerno 10-11 giugno2005. Roma: DeriveApprodi, aprile 2006), ISBN 88-88738-99-1, 9788888738994, pp. 98-120.

40) Tommaso RUSSO, Compte Rendu de: “F. de Saussure, Scritti inediti di linguistica generale, trad. introd. e note di Tullio De Mauro, Roma-Bari: Laterza, 2005”. «Cahiers Ferdinand de Saussure» 58 (2005) [ma marzo 2006], ISSN 0068-516-X, ISBN 2- 600-01070-X, pp.299-308.

41) Elena PIZZUTO, Paolo ROSSINI, e Tommaso RUSSO, “Representing signed languages in written form: questions that need to be posed”. In: Chiara VETTORI (ed.), Proceedings of the Second Workshop on the Representation and Processing of Sign Languages: Lexicographic Matters and Didactic Senarios (LREC 2006 – 5th International Conference on Language Resources and Evaluation, Genoa, May 28th 2006). Paris: ELRA, 2006, pp. 1-6.

42) Tommaso RUSSO, “Metaphors and blending in LIS (Italian Sign Language) discourse: a window on the interaction of language and thought”. In: QUADROS, Ronice M. de (ed.): TISLR 9: Theoretical Issues in Sign Language Research 9: (9 Congreso International de Aspectos Teóricos das Pesquisas nas Linguas de Sinais. December 6 to 9, 2006, Universidade Federal de Santa Catarina Florianópolis, SC Brasil). Florianópolis: Lagoa Editora, 2006, pp. 183-184. Cf. Terry JANZEN and Sherman WILCOX (eds.), Cognitive Dimensions of Signed Languages. «Cognitive Linguistics» 15 (2004).

43) Grazia BASILE e Tommaso RUSSO, “OGM e stampa italiana (2003-2005)”. Roma: (Consiglio dei Diritti Genetici) MediaBiotech, report # 1/2005 [ma 2006], 49 pp. 2007

44) Tommaso RUSSO CARDONA e Virginia VOLTERRA, Le Lingue dei Segni. Storia e Semiotica. Roma: Carocci (Quality Paperbacks 207), marzo 2007, ISBN 9788843040575, 153 pagine.

45) Tommaso RUSSO CARDONA, “Catastrofe e ironia”. «Forme di vita» 6/2007 (= Logica e antropologia). Roma: DeriveApprodi, febbraio 2007, ISBN 788889969229, pp. 85-104.

46) Tommaso RUSSO CARDONA, “L’ontogenesi come Philosophia prima” [Recensione di: David Gargani, La nascita del significato, Linguaggio ed esperienza nell'ontogenesi del significato verbale, Perugia: Guerra Ediz., 2004]. «Forme di vita» 6/2007 (= Logica e antropologia). Roma: DeriveApprodi, febbraio 2007, ISBN 788889969229, pp. 216-221.

47) Tommaso RUSSO CARDONA, “Sulla formatività del segno linguistico nello scritto saussuriano De l’essence double du langage”. In: Annibale ELIA e Marina DE PALO (eds.), La lezione di Saussure. Saggi di epistemologia linguistica (Atti del Convegno Università di Salerno 18 Giugno 2004). Carocci (Quaderni), luglio 2007, ISBN 9788843041770, pp. 171-186. 48) Tommaso RUSSO CARDONA, “Impliciti e intenzionalità. La dimensione intersoggettiva
dell’intenzionalità nel discorso frammentato o reticente”. In: Raffaella PETRILLI2005. Roma: DeriveApprodi, aprile 2006), ISBN 88-88738-99-1, 9788888738994, pp. 98-120.

48) Tommaso RUSSO CARDONA, “Impliciti e intenzionalità. La dimensione intersoggettiva dell’intenzionalità nel discorso frammentato o reticente”. In: Raffaella PETRILLIe Diego FEMIA (eds.), Il filo del discorso. Intrecci testuali, articolazioni linguistiche, composizioni logiche (Atti del XIII Congresso Nazionale della Società di Filosofia del Linguaggio, Viterbo 14-16 Settembre 2006). Roma: Aracne (Pubblicazioni della Società di Filosofia del Linguaggio 04), settembre 2007, ISBN 9788854813311, pp. 91-109.

49) Paola PIETRANDREA e Tommaso RUSSO, “Diagrammatic and Imagic Iconicity in Verbal and Signed Languages”. In: Elena PIZZUTO, Paola PIETRANDREA & Raffaele SIMONE (eds.), Verbal and Signed Languages: Comparing structures, constructs and methodologies (Atti del Colloquio internaz. Roma 4-5 Ottobre 2004). Mouton De Gruyter (Empirical Approaches to Language Typology [EALT] 36), 2007. ISBN 978-3-11-019585-9, pp. 35-36. 2008

50) Adam KENDON and Tommaso RUSSO CARDONA (eds.), Dimensions of gesture. «Gesture», 8/1 (2008) Special Issue, (Atti del Convegno Il gesto nel Mediterraneo, Procida, 20-23 ottobre 2005). Amsterdam: Benjamins.

51) Tommaso RUSSO CARDONA, “Metaphors in Sign Languages and in Co-verbal Gesturing”. In: KENDON, and RUSSO CARDONA (eds.), Dimensions of gesture, «Gesture», 8/1 (2008) [50], pp. 62-81.

52) Tommaso RUSSO CARDONA, “Asymétries du signe: outils, gestes, mots/signes” (Relazione alla Tavola rotonda del XXXVI Congresso AISS, Università della Calabria, 17 Novembre 2006). «Cahiers Ferdinand de Saussure» 60 (2007) [ma maggio 2008], pp. 107-122.

53) Tommaso RUSSO, “Ironia: emozioni e orizzonte di coscienza” [Seminario tenuto all’Università della Calabria, aprile 2007]. «Bollettino filosofico» (Univ. della Calabria), n. 24 (2008) (= Linguaggio ed emozioni, a cura di Felice Cimatti), ISSN 1593- 7178, pp. 223-237.

IN PUBBLICAZIONE

54) Tommaso RUSSO CARDONA, Peripezie dell’ironia. Studio sul rovesciamento ironico, Roma: Meltemi, in corso di stampa.

55) Tommaso RUSSO CARDONA, “Négativité, récursivité et incalculabilité: les quaternions dans «De l’essence double du langage»” «Cahiers Ferdinand de Saussure», 61 (2008), in corso di stampa.

56) Tommaso RUSSO CARDONA, “Forme, jeu des signes et emploi dans «De l’essence double du langage»” (Relazione presentata al convegno “Rileggere Saussure”, Ragusa, 28-29 Aprile 2006). In: Daniele GAMBARARA (a cura di), L’esprit du langage. Un voyage de Saussure en Italie, in pubblicazione.

57) Tommaso RUSSO CARDONA, Il ricamo dei segni. Un viaggio nel paese dei sordi attraverso la loro poesia, in preparazione.

TOMMASO RUSSO CARDONA, VIRGINIA VOLTERRA, Le Lingue dei Segni. Recensione di Donata Chiricò

TOMMASO RUSSO CARDONA, VIRGINIA VOLTERRA, Le Lingue dei Segni, Roma,
Carocci, 2007, pp. 153, € 15,50.


L’insegnante è una donna, fa estrema attenzione a tenere le mani
dietro la schiena e parla articolando esageratamente
e fermandosi sui movimenti della bocca molto “correttamente”.
Gli allievi leggono sulle labbra.
È a questo punto che capisco l’estensione del disastro (…)
Questa donna che non si serve né delle mani né del suo corpo per insegnare,
che significa attraverso il suo comportamento il divieto di utilizzare una lingua
diversa dalla parola, mi sembrava una provocazione. (…)
Ma gli altri guardano ed ascoltano attentamente ed io non oso interrompere.
Mi sforzo di comprendere ciò che viene detto. Niente.
Lo vede bene; io non so nemmeno di che lezione si tratta.
E. LABORIT, Il grido del gabbiano


Nel Trattato sulla Pittura Leonardo da Vinci raccomanda di imparare dai
muti, ovvero dai sordi, il buon uso dei gesti e dei movimenti del corpo: “Non
rinfacciatemi che vi propongo un insegnante che non parla, perché egli vi insegnerà
meglio con i fatti, che tutti gli altri maestri attraverso le parole. Il buon
pittore ha da dipingere due cose principali: l’uomo e la mente sua. Il primo è
facile, il secondo è difficile, perché si ha a figurare con gesti e movimenti delle
membra, e questo ha da essere imparato da chi meglio li fa che alcuna altra
sorta d’uomini”. Siamo alla fine del ’400 e l’affermazione di Leonardo è tanto
lungimirante quanto estranea alla mentalità dell’epoca. Nella storia della nostra
cultura la questione filosofica di che tipo di mente e di indole potesse avere
un individuo privo della parola assunse presto i connotati di un vero e proprio
accanimento. È difficile spiegare altrimenti quel precetto contenuto nel
Levitico (19,14) il quale raccomanda di non “disprezzare” i sordi e include questi
ultimi tra coloro i quali devono essere protetti dalle ingiustizie e dalla prepotenza
del potere.
Bisogna dire che in epoca classica il punto di vista sui sordi non ha i toni
cupi a cui successivamente ci hanno abituati filosofi, medici e giuristi. Platone,
per esempio, individua nel canale visivo-gestuale una delle possibilità attraverso
cui può essere declinata la prassi linguistica (Cratilo, 422e1-423b10) mentre
Aristostele affronta il problema da un punto di vista biologico per affermare
sostanzialmente che la voce è condizione necessaria ma non sufficiente per
avere un linguaggio il quale è “voce linguisticizzata”, vale a dire voce “articolata”
per mezzo dell’udito (Historia Animalium, IV, 9, 536a). Altrimenti detto,
per Aristotele era chiaro quello che chiaro non sembrò essere per intere generazioni
di intellettuali che gli sono succeduti e, cioè, che i muti non hanno linguaggio
non perché manchino ‘naturalmente’ di intelligenza ma semplicemente
perché sono privi di udito.
Allo stesso tempo, è fondamentale evidenziare che, malgrado il fatto che
Platone avesse prospettato la possibilità dell’esistenza di una lingua diversa da
quella verbale e che Aristotele avesse affrontato la questione della sordità in
termini neutri, un umano fatto come tutti gli umani, ma privo del linguaggio,
culturalmente ha creato non pochi problemi. Il sordo è una progenie scomoda,
difficile da collocare. È un bipede, è partorito e concepito da umani e cresce
tra umani. Eppure non parla, non trova il modo di esibire la sua umanità. La
sua voce non è disciplinata e non è disciplinabile. È ‘mostruosa’, è grido,
stridore.
Il sordo è un ‘dentro’ che si colloca prepotentemente fuori, è un membro
della società che ontologicamente sfugge alla macchina disciplinare della lingua
socialmente condivisa: non ascolta. Non può farlo. La porta principale, l’udito,
è chiusa. Non vi si può accedere in nessun modo. Nessuna voce può arrivare,
nemmeno quella di Dio.
Come non indovinare i motivi profondi e quasi ancestrali che hanno spinto
intere società a bandire i sordi dalla vita sociale? Come non immaginare quanta
diffidenza devono aver suscitato persone totalmente noncuranti del suono di
una campana (che è allo stesso tempo comunità e chiesa), piuttosto che di una
richiesta di aiuto, di un pericolo che arriva alle spalle o altre espressioni del
vivere sociale? Come dimenticare che la parola, in quanto fatta di voce e non
in quanto fatta di qualche altra materia, è per la nostra civiltà la sola degna di
‘incarnare’ il linguaggio? Come non rendersi conto che lo statuto sociale svalutato
del sordo ha a che fare con lo statuto della corporeità nel linguaggio e
nella conoscenza?
La storia dei sordi non è una bella storia. Non lo è per questi ultimi. Non
lo è per una cultura che si è dimostrata, e sovente si mostra ancora, intollerante
e accanita nei confronti di queste anime ‘mute’. Recentemente, tuttavia,
essi stanno cercando di scrivere una pagina diversa e si apprestano a fondare
una città. Ce lo racconta Tommaso Russo Cardona, amico compianto e coautore
(insieme a Virginia Volterra) del libro che qui presentiamo. Si tratta di
una città progettata per “tutti coloro che usano la lingua dei segni”, nella
fattispecie la Lingua Americana dei Segni (ASL). Non è un città di sordi; è una
città di segnanti, una città in cui “i sordi convivranno con gli udenti, agevolati
da un ambiente concepito apposta per loro” (p. 15). In questa città, che si
chiamerà Laurent (dal nome di Laurent Clerc, il brillante insegnante per sordi
trasferitosi dalla Francia in America per tenere a battesimo la prima scuola per
sordi e, quindi, l’insegnamento della lingua dei segni), “in tutti i negozi
dovranno esserci commessi che conoscono il sign language, i citofoni e i telefoni
saranno sostituiti da videocitofoni e videotelefoni e i servizi sociali, dagli
ospedali alle poste, saranno concepiti in maniera tale da rendere possibile a chi
usa questa lingua visiva e gestuale di accedervi con facilità. Anche i bambini
riceveranno un’educazione scolastica bilingue, in inglese e in ASL” (p. 15).
Siamo nel nord degli Stati Uniti, nel South Dakota, a qualche chilometro
dalla città di Salem e l’ideatore di questo progetto, di questa vera e propria città
che non c’è, è un sordo prelinguistico. Si chiama Marvin T. Miller e se riuscirà
a realizzare quanto sin qui prospettato, gli Stati Uniti avranno, dopo l’unica
Università al mondo per sordi (Gallaudet University), anche la prima città al
mondo che contempli una forma di vita bilingue per i suoi abitanti e visitatori,
una città in cui sordi e udenti possono ritrovarsi senza sentirsi due varianti
della stesso genere. Nella storia degli uomini le città sono state fondate per
diversi motivi: per ricordare una persona amata, le gesta di un imperatore, la
provenienza dei suoi primi abitanti, una battaglia. Non sono mai state fondate
per sancire un bisogno così fortemente culturale ed esistenziale quale la possibilità
di imparare a parlare una lingua e praticarla. In effetti, la costruzione di
questa città (a più di cento anni dal Congresso di Milano) rappresenta un risarcimento,
la materializzazione di un’utopia e una grande scommessa.
Basta seguire il testo per scoprire perché potrebbe incarnare queste tre cose
messe insieme. Il primo capitolo è dedicato ad una breve ricostruzione storica
dello statuto giuridico e della considerazione socio-culturale in cui nel
passato venivano tenuti i sordi. È qui che ci viene ricordato che il Corpus Iuris
Civilis promosso nel 531 da Giustiniano (che nel 529 aveva chiuso la scuola
filosofica di Atene) priva i sordi di alcuni diritti fondamentali: quelli di “fare
testamento, di stipulare contratti, di rendere testimonianza” (p. 18). Un contributo
in questa direzione è ascrivibile al più importante tra i pensatori della
patristica, Agostino, il quale nel Contra Iulianum “sottolinea che la sordità è un
male perché può comportare una mancanza di fede” (p. 19) e questo malgrado
il fatto che nel De Quantitate Animae avesse scritto di aver visto “un sordomuto
in grado di esprimersi compiutamente attraverso la lingua dei segni” (p. 19).
È noto che esiste qualche sporadica presa di posizione a favore della
possibilità di “apprendere il Vangelo attraverso i segni” (San Gerolamo). Tuttavia,
Tommaso Russo Cardona ricorda giustamente che “la consapevolezza
dell’esistenza di una comunicazione gestuale in segni” resta molto poco diffusa.
Al contrario, “sembra che nel Medioevo l’atteggiamento prevalente sia quello
di considerare i sordi alla stregua di molte altre figure ai limiti del mondo
sociale, come gli ammalati cronici, i mendicanti, ma anche ai limiti di quello
della fede, come i saltimbanchi e i guitti che praticano la pantomima”. Questo
vuol dire che possiamo senz’altro affermare che tra il Corpus Iuris Civilis e il
Rinascimento, la condizione dei sordi e la considerazione della lingua gestuale
resta sostanzialmente invariata. È solo quando lo “stretto contatto” (p. 20) tra
medicina, filosofa neoplatonica e alchimia fanno in modo che si torni “a riflettere
sul ruolo dei sensi per la conoscenza” che finalmente si suggerisce che
la vista potrebbe “sopperire alle carenze dell’udito, anche nei sordi dalla nascita”
(p. 20). Bisogna dire, tuttavia, che in questa primissima fase di riflessione
sulla sordità non si pensava ancora alla possibilità che i sordi potessero
avere una loro lingua ‘emancipata’ da quella degli udenti. Si pensava, per lo
più, a fornire a singoli sordi la possibilità di accedere ai rudimenti della scrittura
e della lettura nonché all’uso di alcuni semplici vocaboli. A tal proposito,
c’è da tenere conto che in moltissimi di questi casi gli interventi erano
destinati a figli di famiglie aristocratiche presso le quali la presenza di un sordo
rischiava di interrompere l’asse ereditario dacché all’epoca erano ancora in
vigore norme che escludevano i sordi dal “diritto di ereditare o fare testamento”
(p. 21). È a partire da ciò che si spiega come mai la storia della pedagogia
‘speciale’ per sordi sia caratterizzata da tecniche educative finalizzate ad
indurre produzione di suoni vocali, vale a dire comportamenti linguistici che
potessero essere approvati dagli udenti e dalla cultura logocentrica di cui eravamo
e siamo profondamente intrisi. È così tanto per Juan Pablo Bonet in Spagna
quanto per Conrad Amman, autori rispettivamente delle due più importanti
opere di riferimento del nascente oralismo: Reduccíon de las letras y arte
para enseñar a hablar a los mudos (1620) e Surdus loquens. Sarà così a lungo e a più
riprese. È così ancora oggi, era di impianti cocleari, fragorosomente definiti
‘orecchio bionico’.
Ci fu un momento, tuttavia, in cui ciò che mai i sordi avevano potuto dire
venne semplicemente detto e fatto dal protagonista di quella che può essere
definita la prima grande rivoluzione pedagogica della storia: l’abate Charles-
Michel de l’Épée. Siamo nella Parigi pre-rivoluzionaria, nella Parigi dei grandi
filosofi illuministi, dei filosofi dai libri messi al bando dalla Sorbona, nella
Parigi in cui il pluricensurato (e anche più volte chiuso alla Bastiglia) Denis
Diderot aveva dedicato un testo filosofico alla cecità (Lettera sui ciechi ad uso di
coloro che vedono, 1746) ed uno alla sordità (Lettera sui sordi ad uso di coloro che
sentono e che parlano, 1751). È in questo clima che L’Épée, già inviso alla Chiesa
per la sua simpatia nei confronti del giansenismo, si imbatte in due giovani
gemelle sorde fino a quel momento affidate ad un suo confratello. È questa
l’occasione in seguito alla quale egli comincia ad occuparsi in maniera più
estesa di educazione di sordi. Si installa praticamente nella sua casa di famiglia
insieme ai suoi primissimi allievi e tiene lezioni pubbliche e gratuite. Bisogna
dire che le sue lezioni attiravano non solo i sordi, ma praticamente tutta Europa.
Da l’Épée si reca Giuseppe II, imperatore di Germania, il nunzio del Papa,
numerosi istitutori, filosofi, intellettuali. Per la prima volta nella storia
qualcuno aveva semplicemente ‘ascoltato’ i sordi: “L’Épée aveva cominciato a
sviluppare il suo metodo quando alla fine degli anni cinquanta era divenuto
precettore di due allieve sorde: due sorelle le quali avevano sviluppato da sole
una complessa forma di comunicazione gestuale. De l’Épée era rimasto colpito
dalle possibilità comunicative e dalla rapidità di apprendimento di queste due
piccole allieve e aveva cominciato a pensare che i segni sviluppati naturalmente
dai sordi potessero essere d’ausilio nell’educazione. (…) L’intuizione
di l’Épée è appunto che al bambino sordo debba essere data una via di accesso
naturale ai contenuti della comunicazione che gli permetta innanzitutto di
uscire dall’isolamento e di sviluppare le proprie conoscenze” (pp. 25-26).
Nasce così il segnismo e quella prima scuola per sordi a cui lo stesso Luigi XVI
assegna una sede ed un contributo finanziario (1785) e del cui futuro si occuperà
direttamente l’Assemblea dei rappresentanti della Comune di Parigi dichiarandola
“Istituto Nazionale” (1791) non senza che l’Épée fosse menzionato
tra i cittadini benemeriti della patria e dell’umanità.
I successi politici e culturali di L’Épée e della sua scuola non salvarono i
sordi e la loro lingua da una nuova e più feroce ondata di normalizzazione. Nel
1880, il Congresso internazionale che riunisce le grandi scuole per sordi, bandisce
la lingua dei segni da ogni ordine e grado di istruzione nonché sancisce il
divieto di utilizzarla al di fuori delle scuole. Principali promotori del congresso
tre italiani (Giulio Tarra, Serafino Balestra e Tommaso Pendola) i quali motivarono
la loro battaglia antisegnista con la “difficoltà di catechizzare le persone
sorde” (p. 28) e trovarono nell’ossessione di influenti personaggi quali Alexander
Bell secondo il quale l’utilizzo di una lingua dei segni avrebbe favorito la
nascita di una “razza sorda del genere umano”, il terreno favorevole alla diffusione
del loro punto di vista anche negli Stati Uniti dove, per un momento,
era sembrato che “la svolta oralista” potesse essere “in parte arginata” (p. 29).
È importante a questo punto ricordare quello che mette in evidenza Tommaso
Russo Cardona: “La lettura in chiave ‘razziale’ della contrapposizione tra oralismo
e manualismo non è che la più evidente manifestazione della confusione
profonda a proposito del ruolo della comunità sorda, del suo statuto intermedio
tra condizione biologica e dimensione socioculturale e svela, ancora una
volta, i timori che da sempre questa condizione di ‘diversità’ suscita nei sostenitori
dell’ordine costituito” (p. 29).
La storia dei sordi fin qui brevemente ricostruita spiega alcune delle caratteristiche
interne delle lingue dei segni le quali, malgrado l’accanimento di cui
sono state destinatarie, hanno continuato a vivere ed oggi assommano a 114.
Alcune sono piccoli mondi, vengono adoperate da comunità linguistiche il cui
numero dei segnanti è estremamente ridotto. È questo il caso dell’Adomorobe
Sign Language, una lingua dei segni parlata in un villaggio del Ghana da solo
300 segnati nativi. Diverso è il caso dell’American Sign Language, utilizzato da
circa 500.000 persone (p. 33). Come ogni sopravvissuto, le lingue dei segni
portano in sé il marchio delle difficili condizioni in cui hanno dovuto farsi spazio.
Estremamente difficoltosa resta oggi la possibilità di individuare i loro
rapporti genealogici. Una certezza: “le relazioni tra varietà segnate sono del
tutto autonome rispetto a quelle tra le lingue parlate nei paesi corrispondenti”
(p. 33). Passando dalla diacronia alla sincronia, c’è da rilevare che le lingue dei
segni restano oggi debolmente standardizzate. Una spiegazione di questo fenomeno
risiede nella “mancanza di una forma di scrittura” (p. 33), ma altresì nel
fatto che esse non sono mai diventate un veicolo anche parziale di informazione.
Del resto, Tommaso Russo Cardona ricorda che processi di omogeneizzazione
si sono realizzati laddove, ad esempio, esistono trasmissioni televisive
in lingua dei segni o istituzioni culturali e di formazione in cui essa è utilizzata
per l’insegnamento e, quindi, per gli scambi interpersonali e per il normale
svolgimento della vita (p. 33). È questo ciò che è avvenuto negli Stati Uniti
grazie alla Gallaudet University e ciò spiega perché “il grado di omogeneizzazione
linguistica è diverso per le lingue dei segni, di paese in paese” (p. 33).
Da questo punto di vista un fattore importante di cui tenere conto è la “composizione
interna delle comunità linguistiche sorde” (p. 34), nonché le condizioni
in cui prende il via l’apprendimento di una lingua dei segni. C’è da
tenere in considerazione il fatto che esse sono composte da individui che
hanno competenze linguistiche estremamente differenziate e che per la maggior
parte di loro (più del 90%) la lingua dei segni è un’acquisizione tardiva e
sicuramente successiva ai primissimi anni di vita. Pochissimi sono i sordi figli
di sordi e, quindi, pochissimi sono i sordi che entrano in contatto con la lingua
dei segni come con una qualsiasi lingua madre (p. 34).
Tuttavia, nuove lingue dei segni emergono dovunque ci sia la possibilità
che si formi “una comunità linguistica abbastanza ampia perché la lingua diventi
un veicolo di comunicazione condiviso” (p. 34), ovvero in qualsiasi parte del
mondo “bambini ed adulti sordi si trovino insieme e possano socializzare” (p.
35). Come opportunamente ricostruisce Tommaso Russo Cardona, il “complesso
fenomeno” delle lingue emergenti dei segni dipende da due condizioni
diverse: il grado di coinvolgimento della comunità sorda e la forma in cui la
comunità udente incoraggia lo sviluppo della comunicazione segnata (p. 35).
Egli descrive tre casi considerati paradigmatici: il caso del Nicaraguan Sign Language
(NSL), quello dell’Al Sayyd Bedouin Sign Language (ABSL) e quello delle
Línguas de Sinais Primárias (LSP) dei sordi brasiliani. Estremamente interessante
sono le circostanze in cui è nato l’Al Sayyd Bedouin Sign Language (ABSL) e la
sua “comunità segnante integrata” (p. 37). Ci troviamo di fronte al caso di una
lingua adoperata all’interno di una comunità in cui specifiche condizioni
biologiche e storiche hanno fatto sì che il numero di persone sorde sia superiore
alla media degli altri paesi occidentali (4,28% contro lo 0,01%). Tale
circostanza ha finito per indurre (anche grazie a matrimoni misti) la diffusione
della lingua segnata fra gli udenti i quali, a loro volta, divenendo parte costitutiva
della comunità segnante, hanno contribuito al processo di standardizzazione
e omogeneizzazione linguistica.
Opposta a questa, ma altrettanto significativa, è la congiuntura in cui sono
emerse le Línguas de Sinais Primárias (LSP) le quali dimostrano che nel caso un
numero ridotto di sordi si trovi nelle condizioni di dover comunicare con una
comunità di udenti, quelli sviluppano “strutture grammaticali autonome e
complesse riadattando i materiali comunicativi gestuali che condividono con
gli udenti e modificando le loro forme di comunicazione” (p. 37). Il Nicaraguan
Sign Language (NSL) ha, invece, una storia spiegabile a partire dai ‘vantaggi’
dell’educazione speciale per sordi. Fino a quando, infatti, sono esistite
scuole specificamente dedicate ai sordi, sono esistiti posti in cui i sordi non vivevano
isolati. Questo ha fatto sì che, anche nel periodo in cui tali istituti puntavano
sull’apprendimento della lingua parlata, “i bambini utilizzavano la loro
competenza gestuale per creare delle forme linguistiche” (p. 35). Originariamente
“influenzate dalla gestualità degli udenti e dalle caratteristiche grammaticali
dello spagnolo letto sulle labbra” (pp. 35-36), nel tempo essi hanno
contribuito a fare emergere “una lingua dei segni nicaraguense condivisa da un
numero piuttosto ampio di segnanti” (p. 36) in cui le “le strutture lessicali e
grammaticali create dalla prima generazione di segnanti si sono evolute e stabilizzate
in forme nuove, raggiungendo un equilibrio nell’arco di un paio di generazioni”
(ibid.). Interessante a questo proposito la conclusione a cui giunge
l’autore: “I sordi sembrano, quindi, riuscire a sviluppare un lessico in segni e
anche forme rudimentali e via via più complesse di sintassi sulla base di un
processo di convenzionalizzazione e di adattamento di tutti i materiali comunicativi
a loro disposizione. In particolare, una volta che si sviluppa un lessico
abbastanza ampio, le prime forme grammaticali e sintattiche emergono spontaneamente.
Questo processo nasce dai bisogni comunicativi e si esplica quando
i sordi sono in contatto tra loro o con persone udenti. L’intreccio tra predisposizioni
biologiche alla comunicazione e dimensione sociale si rivela così
fondamentale e, soprattutto, dinamico, ovvero mutevole a seconda del tipo di
interazioni e in relazione a ciò che si comunica” (p. 38).
Questo spiega perché quando si cerca di stabilire sulla base di quali elementi
sia possibile (e per la verità anche necessario) parlare di “appartenenza
di una persona alla comunità dei sordi” (p. 39), fermo restando che “il primo
strumento di identificazione delle persone sorde” è la lingua dei segni (p. 41),
si è contestualmente obbligati ad ancorarsi da una parte al fatto biologico dell’essere
sordi e dall’altra alla “distanza dal mondo udente”. Tommaso Russo
Cardona ha definito questa distanza in termini di “abitudini, usi e costumi che
uniscono i sordi tra loro” nonché di “oggettive difficoltà a usufruire dei servizi
sociali e a integrarsi economicamente” (p. 39). Come che sia, la lingua dei segni,
nata da un ‘artificio’ che all’origine aveva visto un codice gestuale ‘incarnarsi’
in una grammatica per lingua verbale, storicizzandosi si naturalizza e diventa
una lingua vera e propria. E la lingua, come ci ricorda l’autore, ha di
straordinario proprio questo: è tenace, attraversa il tempo e lo spazio sapendo
che per rimanere sempre se stessa deve essere capace di mescolarsi a tutto:
“Una lingua, in particolare, si differenzia da altri sistemi comunicativi non
linguistici, come la pantomima o i segnali stradali, per il suo alto grado di sistematicità
e per la sua apertura al mutamento nel corso del tempo, nello spazio
e in relazione alle esigenze comunicative dei parlanti. Inoltre ogni lingua è
una forma di comunicazione e di azione pervasiva che investe la vita di ciascuno,
in ogni momento e in tutte le attività sociali che ci caratterizzano” (p. 49).
L’attento studioso di teorie linguistiche che è stato Tommaso Russo Cardona
ci ricorda che le lingue dei segni – come tutte le lingue verbali – sono caratterizzate
da sistematicità, variabilità, arbitrarietà, iconicità e doppia articolazione
(pp. 53-65). Prive di scrittura, esse restano scarsamente standardizzate
e omogeneizzate e divengono luogo di proliferazione di “varietà e dialetti segnati”
(pp. 54-55). Interessanti sono le osservazioni relative al ruolo dell’iconicità
la quale “non si contrappone, ma convive con il carattere sistematico
della lingua” (p. 75). A questo proposito è messo opportunamente in rilievo
che nelle strutture discorsive tipiche del segnato, l’iconicità può emergere in
“forme che sono spesso ‘produttive’ e sono legate dinamicamente ai processi
di comprensione” (p. 81). È così che scopriamo che costruzioni segnate dotate
di iconicità discorsiva sono significativamente presenti nel testo poetico
(53,4% di costruzioni segnate), ridotte nelle libere narrazioni (43%) e limitate
nella varietà formale usata in occasione di conferenze (pp. 81-82).
Dato il carattere visivo-gestuale delle lingue dei segni, i rapporti tra iconicità
e arbitrarietà sono “diversi rispetto a quelli presenti nelle lingue vocali”
(p. 92). In particolare, Tommaso Russo Cardona, dopo aver evidenziato che
tale caratteristica dipende dalla “strutturazione interna del sistema linguistico”
e dai suoi utenti (pp. 92-93), mostra un particolare interesse per l’ipotesi secondo
cui la pervasività di tratti iconici nella lingua dei segni sia anche da attribuire
alla sua base neuropsicologica. In effetti, studi recenti sui fondamenti
biologici del linguaggio hanno dimostrato che i segnanti utilizzano l’area di
Broca nello stesso modo in cui viene utilizzata dai parlanti, vale a dire per produrre
quello speciale tipo di movimenti volontari che sono i segni di una lingua.
Allo stesso tempo, Tommaso Russo Cardona attira l’attenzione sul fatto
che nel corso delle loro prestazioni linguistiche i segnanti “sembrano evidenziare
un maggior coinvolgimento dell’emisfero destro e mostrano abilità particolari
per tutti i compiti legati alla percezione visiva” (p. 93). Contestualmente
questi si rifà agli studi sui neuroni specchio i quali – come è noto – si
attivano (nei primati e negli umani) quando viene compiuto o osservato un
comportamento, nella fattispecie un atto motorio, intenzionale. Essi si attivano,
cioè, quando una scimmia afferra o osserva un suo simile afferrare un
oggetto con un certo fine (manipolarlo, spostarlo, mangiarlo, etc.) piuttosto
che quando un umano compie o osserva qualcuno compiere gesti di tipo analogo,
compresa la produzione di segni nella sua versione parlata e segnata.
È interessante constatare che a questo punto viene messo l’accento sul fatto
che i neuroni specchio caratterizzano l’attività di quelle aree cerebrali che
nell’uomo si specializzeranno in prestazioni linguistiche ma la cui attività riguarda
la produzione e, quindi, “la percezione visiva di azioni di manipolazione”
(p. 93). Andando più nello specifico, Tommaso Russo Cardona ribadisce
che essi sono in azione “non solo nella produzione e nella percezione di
azioni manuali dotate di significato, ma anche nel caso di movimenti labiali” (p.
94). Il forte interesse fin qui dimostrato da quest’ultimo per la serie di studi
neuroscienfici che abbiamo evocato, è spiegabile anche attraverso il fatto che
egli teneva molto a contribuire ad una linguistica “incarnata”, ad uno studio del
linguaggio in cui si sia capace di tenere conto del “diverso accesso sensoriale
alla realtà” e della diversità dei “mezzi di espressione”. Teneva altresì molto a
ricordare che proprio lo studio delle umiliate lingue dei segni può concorrere
a rilanciare la suggestiva ipotesi di Leroi-Gourhan secondo la quale esiste un
legame tra “origine del linguaggio e attività manipolative e strumentali” (p. 94)
e, quindi, tra evoluzione e prassi. Da questo punto di vista le lingue dei segni
possono a giusto titolo essere considerate come “un sistema comunicativo inscritto
nel nostro codice genetico, vestigia delle prime forme di comunicazione,
che si realizza come ‘prima’ lingua, oggi, solo nelle persone sorde” (p. 94).
Un testo denso e appassionato come quello che Tommaso Russo Cardona è
riuscito a lasciarci (insieme ad altri due per ora non pubblicati) prima che il
suo viaggio nella vita e nella filosofia del linguaggio fosse interrotto dalla malattia,
non poteva che approdare alla poesia. Del resto, come potrebbe una lingua
‘orale’ come quella dei segni non avere i suoi rapsodi? Come potrebbe una
lingua che probabilmente è stata la lingua originaria del genere umano non essere
anche ritmo, armonia? Più specificamente, Tommaso Russo Cardona analizza
finemente Orologio, una poesia in Lingua Italiana dei Segni composta da
Rosaria Giuranna, poetessa sorda siciliana. Il tema è il tempo quale dimensione
che influenza e limita i rapporti tra le persone. È un tema che ha “molto
a che fare con la cultura sorda” in quanto la “temporalità è vista in relazione
alla possibilità di condividere la dimensione sociale, in una comunità frammentata
dove gli incontri e le possibilità di relazione sono limitati” (p. 105).
Se ripercorriamo quanto pazientemente ricostruito impariamo molte cose. Impariamo
che “l’espressione poetica in lingua dei segni” adopera “procedimenti
linguistici paragonabili a quelli tipici delle lingue vocali, come il metro, la rima,
la versificazione, anche se nella forma specifica di questo tipo di comunicazione
visivo-gestuale” (p. 96) e che “le forme create dalla mani si compongono
armoniosamente come in una danza” (p. 103). Impariamo altresì che nei componimenti
poetici segnati il ruolo giocato nelle lingue vocali dall’intonazione,
dall’iperarticolazione delle parole, dall’accento e dalla quantità vocalica è
svolto dallo spazio, dal rapporto tra le mani e gli articolatori non manuali, dalla
simmetria tra le due mani e dal rapporto interno tra il movimento e gli altri
parametri formazionali. Impariamo, soprattutto, che “esiste una radice comune
a segni e parole” (p. 116) e che attraverso il filtro delle lingue dei segni è
possibile “riflettere sui tratti universali del linguaggio poetico” (p. 96).
Virginia Volterra, che chiude il libro con un interessante capitolo dedicato
all’apprendimento della lingua dei segni, non manca di dedicare una riflessione
specifica proprio al ruolo rivestito del gesto nell’origine e nell’apprendimento
del linguaggio verbale. Ella ricorda che importanti studiosi hanno sostenuto,
anche di recente, che “la prima forma di comunicazione, il protolinguaggio,
era sostanzialmente costituita da componenti manuali accompagnati da espressioni
facciali” ai quali successivamente si sarebbe aggiunta, e non sostituita, la
produzione di suoni e l’articolazione vocale. La sintassi, al canto suo, sarebbe
nata “dai e con i gesti” e successivamente si sarebbe trasferita nella lingua vocale”
(pp. 118-119). Passando dalla filogenesi all’ontogenesi, Virginia Volterra
ricorda che nel momento in cui il “bambino comincia ad utilizzare le prime
parole, a circa un anno di età, già in qualche modo sa comunicare attraverso
comportamenti sia gestuali (…) che vocali” e che “gli elementi gestuali del primo
repertorio comunicativo dei bambini sono molto più comprensibili rispetto
a quelli vocali” (p. 120). Più specificamente, in una fase comunicativa
iniziale i bambini udenti normalmente esposti alla lingua parlata sembrerebbero
prediligere la modalità gestuale ed è solo attorno ai due anni che “la modalità
vocale prevale rispetto a quella gestuale” (p. 125).
Insomma, tanto l’ontogenesi quanto la filogenesi suggeriscono che nulla
impedirebbe ai bambini sordi di imparare da subito e con gli stessi risultati e
ritmi dei loro coetanei udenti una lingua dei segni. Eppure sappiamo che non è
stato e non è questa la metodologia normalmente seguita. Generazioni e generazioni
di sordi prelinguistici sono stati obbligati a forzare i loro limiti biologici
e ‘mimare’ suoni che non erano in grado di ascoltare e che mai avrebbero potuto
dare vita ad un atto di parole. È l’era degli istituti speciali nei quali insegnanti
ed assistenti si mostravano per lo più orgogliosi di “non utilizzare i segni
con i bambini” e si dichiaravano convinti del fatto che “solo parlando” li avrebbero
“indotti (…) ad utilizzare la voce” (p. 127). Essendo queste le condizioni,
a quanto pare peggiorate dalla nascita delle classi speciali in scuole ordinarie e
dall’inaugurazione del cosiddetto regime del sostegno (p. 131), come le lingue
dei segni abbiano fatto a sopravvivere è quasi un mistero. Sta di fatto che negli
ultimi quindici anni la situazione sembra, almeno in parte, modificata: una
legge del 1992 (L. 104) permette di richiedere un assistente alla comunicazione
per chiunque (dal nido alla scuola superiore) conosca e utilizzi la LIS (p.
133). Alcune scuole hanno sperimentato modelli di educazione bilingue italiano-
LIS il cui fine è far sì che bambini sordi ed udenti imparino “insieme in
un ambiente bilingue e biculturale” (p. 136). Molto interessanti sono, infine,
le esperienze di insegnamento dei segni a bambini udenti le quali dimostrano
che questi “imparano con estrema facilità la lingua dei segni come seconda
lingua” (p. 138) e che il suo apprendimento “può contribuire (…) allo sviluppo
di abilità quali l’attenzione e la memoria visiva” (p. 139).

DONATA CHIRICÒ

Appunti del corso di LINGUE DEI SEGNI a.a. 2004-2005- prof. Tommaso Russo

Le lingue dei segni sono delle lingue a tutti gli effetti. Ogni Paese ha il suo codice linguistico, con regole grammaticali, morfologiche e sintattiche.

La denominazione è stata inventata nel 1960 da William Stokoe (antropologo entrato per la prima volta in contatto con una comunità di non udenti negli Usa e pian piano ha imparato la loro lingua).

Nelle lingue dei segni ci sono:

  • Elementi di prima articolazione: in una sequenza linguistica morfemi portatori di significato.
  • Elementi di seconda articolazione: fonemi, che si combinano tra loro per formare le parole di una lingua.

Spesso i sordi sono figli di genitori udenti. Fino a pochi anni fa i bambini non riuscivano ad apprendere una lingua perché i genitori non riuscivano a comprendere immediatamente il problema. La possibilità per i sordi di imparare una propria lingua, fa in modo che anche le barriere morali cadano. Per le persone sorde la comunicazione gestuale è naturale. Nei primi tre anni di vita il bambino è predisposto ad imparare la lingua dei segni e ad ampliarla con l’utilizzo dei suoni, pur non percependoli. In particolare, nel primo anno di vita assistiamo all’inizio di una serie di tentativi di comunicazione. È anche un sistema di sintonizzazione con gli adulti. Superati i 2 mesi il bambino si rende conto di poter utilizzare il sorriso come mezzo di comunicazione. Inizia anche l’utilizzo tattile per esprimere qualcosa. La condivisione dell’attenzione è una delle attività fondamentali nella maturità comunicativa del bambino. L’attenzione viene suscitata dagli oggetti colorati e luminosi e la madre interpreta i desideri del figlio.

Intorno al primo anno d’età si crea il primo lessico. Per Chomsky il 90% del linguaggio è innato e deve essere solo attivato. Per Piaget ci sono delle parti innate ed altre costruite grazie all’apporto dei genitori. Se si sviluppa un linguaggio gestuale, questo sostituisce il linguaggio verbale.

In questo periodo si sviluppano anche i gesti comunicativi intenzionali referenziali, che affiancano i gesti comunicativi intenzionali deittici, usati per indicare qualcosa. Mentre questi ultimi sono legati all’interpretazione della madre, i primi sono più simbolici perché si staccano dal contesto.

Verso i 18 mesi i bambini iniziano a formulare le prime frasi.

Il bambino sordo produce anch’egli gesti referenziali negli stessi tempi. Ma i bambini sordi che nascono in famiglie udenti (90-95% dei bambini del mondo) hanno bisogno di trovare e di avere una forma di comunicazione e l’apprendimento della comunicazione nei primi due anni di vita è fondamentale. Rieducare un bambino così piccolo è quasi impossibile e non è possibile l’impianto cocleare per potenziare le sue capacità uditive, quindi è necessario l’utilizzo di una lingua dei segni. Un bambino sordo che apprende una lingua dei segni può anche imparare una lingua verbale. Il ruolo dell’educatore diventa fondamentale. I bambini privati della comunicazione verbale e anche del linguaggio gestuale tendono a crearne uno verso i 2 anni.

Come sono fatti i segni di una lingua dei segni?

I segni delle LS sono iconici e arbitrari. Ogni segno è costruito da configurazioni. Ad ogni configurazione corrisponde un gesto. Si tratta di segni immediati come la fonologia degli udenti.

I segni-nome sono il modo attraverso il quale si individuano le persone attraverso le caratteristiche fisiche, le abilità, il lavoro o il cognome.

Affermazione e Negazione sono due proprietà della comunicazione verbale e delle lingue storico-naturali. Con una fotografia non è possibile affermare o negare, con le lingue dei segni invece si.

Esistono elementi di base che costituiscono i segni di una lingua dei segni. Le configurazioni della mano utilizzate nella LIS sono più o meno 20.

Gli emblemi sono gesti convenzionali che si possono anche sostituire al linguaggio. La pantomima è un codice particolare in cui ogni mimo racconterà a modo suo lo stesso evento. Mentre nella pantomima i gesti possono cambiare, nelle lingue dei segni questi sono fissi.

I gesti che accompagnano la comunicazione verbale si dividono in:

  • Batonici: Efron li paragona a gesti di un direttore d’orchestra e servono a rimarcare un significato;
  • Deittici: indicali, legati al contesto, dire e mostrare insieme. Si tratta di uno dei primi segni utilizzati dai bambini. Ci sono anche deittici metaforici.
  • Iconici: gesti nella cui forma si riscontra una somiglianza rispetto al reale.
  • Metaforici: estendono il significato iconico.

COM’È FATTA UNA LINGUA DEI SEGNI

Corso di Lingue dei segni

A.A. 2004-2005

Prof. Tommaso Russo


Negli anni ‘60 con l’opera di Sign Language Structure, William Stokoe inzia la riflessione linguistica e semiotica contemporanea sulle lingue dei segni e si dà loro uno status linguistico. Negli anni ’70 il termine “segni” diviene l’etichetta per denominare le unità base delle lingue visivo-gestuali.

La scoperta di Stokoe è, in realtà, una riscoperta di forme di comunicazione sempre esistite nella storia. Non a caso le lingue dei segni sono le uniche forme di comunicazione a cui può essere attribuito lo status di lingue.

Fino alla fine degli anni ’90 la ricerca ha inteso sottolineare le caratteristiche comuni delle lingue dei segni e di quelle vocali. Jouison si rende conto che è necessario osservare i segni con occhi liberi da condizionamenti della linguistica delle lingue vocali, in modo da individuarne la struttura ed il funzionamento. È necessario tenere in considerazione, inoltre, il ruolo dell’utente, che individua nelle lingue dei segni l’unico canale espressivo e di autoidentificazione.

Non esiste un’unica lingua dei segni. Ogni Paese ha il suo codice linguistico, con regole grammaticali, morfologiche e sintattiche. La loro grammatica risponde a principi autonomi caratterizzati dalla variabilità e da una mutabilità a livello sincronico (esistenza di varietà linguistiche) e diacronico (mutabilità nel tempo di una sola lingua dei segni), dalla mancanza di un sistema di scrittura diffuso e condiviso, che comporta la nascita e il proliferare di dialetti segnati.

Data la complessità di strutture sintattiche e grammaticali, è possibile applicare la nozione saussuriana di sistema isolando, nel flusso della comunicazione segnata unità regolari, unità regolari e invariabili che si possono a loro volta scomporre in sottocomponenti.

Lo spazio di articolazione dei segni è molto più ristretto rispetto a quello dei gesti: esso va dal bacino del segnante fino all’altezza della testa.

Le unità minimali da cui è composto un segno sono:

  • Luoghi sul corpo
  • Configurazioni della mano
  • Orientamenti della mano
  • Tipo di Movimento

Per la Lis (Lingua italiana dei segni) abbiamo 56 configurazioni, 16 luoghi, 6 orientamenti, 40 movimenti. Questi elementi sono chiamati “cheremi”, paragonabili ai fonemi delle lingue vocali. Per i cheremi è fondamentale la dimensione della simultaneità, mentre i fonemi sono unità sequenziali. L’unità gestuale segnante emerge dall’interno di un flusso che coinvolge tutto il corpo.

Si può fare un paragone tra segno e sillaba. In una sillaba abbiamo un momento consonantico e un momento vocalico che si contrappongono in modo simile al modo in cui il movimento si contrappone alle figure articolatorie, nel flusso gestuale segnato. La maggioranza dei segni sarebbe, quindi, monosillabica.

Dal livello delle unità minime prive di senso, grazie alla combinazione tra cheremi, si passa al livello morfologico. L’analisi sui legami tra singoli parametri e aree semantiche ha rilevato una forte “iconicità” di alcuni segni della Lis (per esempio il segno “tavolo” è eseguito a mano aperta e dita giunte con la configurazione B ed il movimento sembra indicare la superficie).

Esistono poi una serie di segni che sono opachi ad un primo sguardo, ma diventano chiari una volta che ne conosciamo il significato. Questi segni vengono definititraslucidi. Per esempio, nel segno “pesce” possiamo riscontrare una certa somiglianza con la “coda di un pesce”.

Abbiamo, inoltre, legami semantici tra elementi di seconda articolazione e campi semantici. Ad esempio, la configurazione B, oltre ad indicare il segno “tavolo”, è utilizzata per le superfici piane (stanza, corridoio,…). Infine, una delle caratteristiche del lessico segnato riguarda le estensioni metaforiche: pensiamo, ad esempio, ai segni “afferrare”, “capire” e “valigia”.

L’intreccio tra aspetti iconici e arbitrari si ritrova a tutti i livelli del sistema linguistico. L’iconicità non si contrappone ma convive con il carattere sistematico della lingua. I segni sono caratterizzati da proprietà come la doppia articolazione, l’arbitrarietà, l’indeterminatezza semantica o estensibilità dei significati, la composizionalità e la ridondanza.

Nelle lingue dei segni è possibile isolare costituenti della frase segnata appartenenti a diverse parti del discorso: sostantivi, verbi, avverbi. I segni si differenziano tra loro da un punto di vista grammaticale grazie alla loro forma e alla possibilità di entrare o meno in combinazione con altri segni.

Abbiamo due categorie principali di sostantivi, che si differenziano tra loro sulla base del luogo di articolazione e in relazione ai meccanismi di pluralizzazione a cui sono soggetti.

I segni della prima categoria (come per esempio “albero” o “casa”) sono articolati nello spazio neutro, ovvero nello spazio di fronte al segnante.

Quelli di seconda categoria, invece, sono ancorati ad un luogo sul corpo del segnante.

La ripetizione del segno e la sua dislocazione nello spazio indicano il plurale. I segni ancorati al corpo generalmente vengono pluralizzati con l’aggiunta del segno “molti”.

Esistono forme di natura verbale e/o nominale il cui significato non può essere determinato dai tratti morfologici, ma si evince dalla loro posizione sintattica e dal contesto (ad esempio il segno “incontrare”/ “incontro”: la natura verbale si evince dal movimento lento e ripetuto che indica l’azione ripetuta).

La dislocazione nello spazio gioca un ruolo centrale dal punto di vista delle distinzioni grammaticali e morfologiche. Possiamo raggruppare i verbi della Lis in almeno tre classi:

  • Articolati sul corpo
  • Articolati nello spazio neutro sulla base di due punti di articolazione
  • Articolati nello spazio neutro con un punto di articolazione.

Nelle lingue dei segni non si usano proposizioni né desinenze e l’accordo viene sempre stabilito attraverso l’articolazione del segno in luoghi posti nello spazio di fronte al segnante.

L’ordine dei costituenti in generale è Soggetto- Oggetto- Verbo. Nella Lis è comune anche l’ordine Soggetto- Verbo- Oggetto.

L’ordine sintattico preferenziale è legato:

  • Al tipo di verbo e alla sua semantica
  • Al contesto discorsivo più ampio inclusi gli indicatori non manuali che sottolineano la rilevanza di uno o più costituenti
  • Alla maggiore o minore presenza dell’uso dello spazio per stabilire l’accordo.

La possibilità di sconvolgere l’ordine preferenziale rende molto frequenti costruzioni in cui è il topic della frase, cioè l’elemento più importante e focalizzato, che viene anticipato rispetto al resto.

Molti segni sono articolati con entrambe le mani. Gli articolatori manuali possono essere sfruttati in contemporaneità in modo che si articolino due segni diversi ma legati da una relazione immediata, spesso iconica.

Le unità segnate non sono mai sequenziali, ma sempre pluriarticolate. L’asse sintagmatico ci appare come un centro di aggregazione dei componenti linguistici che si arricchisce di determinazioni sul piano sequenziale, ma spesso si espande in simultaneità. Spesso, infatti, l’unità segnata sembra corrispondere ad una frase più che ad una parola.

Ci sono una serie di articolatori non manuali che entrano in gioco nel discorso segnato: la posizione del busto e delle spalle, l’spressione facciale, l’articolazione con la bocca di componenti non manuali e lo sguardo dei segnanti. Essi contribuiscono all’articolazione di coordinate e subordinate.

La simultaneità degli articolatori segnati trova, infine, applicazioni nell’uso dei classificatori (segni che veicolano distinzioni legate alla forma e alla disposizione dei referenti a cui sono applicati) e della modalità chiamata impersonamento (modalità di segnato narrativo in cui i movimenti del corpo e gli spostamenti del busto nello spazio servono ad indicare che l’azione viene compiuta da uno o dall’altro dei personaggi della narrazione). Entrambi sfruttano i livelli di iconicità, spazialità e possibilità di composizione simultanea.

Il sistema linguistico segnato si fonda su regole e processi autonomi. L’iconicità emerge nei casi in cui la possibilità di infittire le relazioni tra espressione e contenuto risultano economiche nell’organizzazione dei rapporti tra i due piani e nell’aumento della creatività. L’iconicità emerge, ancora in forme produttive, legate a processi di comprensione del segato e svolge il ruolo di rendere visibile la connessione tra due diversi campi semantici, evidenziando l’esistenza di un rapporto tra di essi nella struttura stessa del significante.

Sono state presentate tre ipotesi diverse per spiegare i rapporti tra iconicità e arbitrarietà nelle lingue dei segni:

  • Il nostro mondo percettivo è ricco di elementi ed oggetti visivi e attraverso la modalità visivo-gestuale possiamo parlare di cose visive con segni visivi, così da veicolare l’informazione in modo più compatto e istantaneo di quanto avvenga nelle lingue verbali.
  • La variabilità intrinseca delle lingue dei segni è dovuta alla frammentarietà della comunità sorda e lascia spazio alla possibilità di enfatizzare o sminuire i tratti iconici dei segni a seconda delle situazioni comunicative.
  • La base neuropsicologica delle attività linguistiche in segni coinvolge l’attività di aree cerebrali di un tipo di neuroni che facilitano la presenza di tratti iconici nel sistema linguistico.

Gli studi sull’ontogenesi del linguaggio sembrano confermare che le lingue dei segni sarebbero un sistema comunicativo inscritto nel nostro codice genetico che si realizza come prima lingua oggi solo nelle persone sorde.